Le fasi di riposo di un prosciutto corrispondono esattamente al periodo invernale della millenaria tradizione.
Da sempre le famiglie contadine, verso fine novembre, macellavano il maiale allevato nella corte. Il clima rigido dei successivi tre/quattro mesi era la condicio sine qua non per la conservazione della carne, trasformata in salami, prosciutti ed altre prelibatezze.
Oggi la tecnologia del freddo riesce a creare le condizioni ideali del clima invernale durante tutto il tempo dell’anno. Per i primi quattro mesi di vita del prosciutto, la temperatura delle varie fasi deve necessariamente essere compresa fra +1 e + 4 C°. L’umidità relativa deve decrescere dal 90 al 65/70%.
Passate le due settimane scarse del periodo di salatura, il prosciutto viene spazzolato e posto ad asciugare, munito di uno spago passante su un foro praticato sulla tibia del gambetto.
Le prime due settimane sono definite di “pre-riposo”. Una fase che consente di estrarre circa il 7,5% di acqua dal prosciutto. Un’accurata “toelettatura” permette di togliere frammenti carnei in eccesso ed evita, con la riduzione dell’anchetta – l’osso iliaco – il formarsi di spigoli ed angoli che vadano a render più difficoltosa la disidratazione in aree critiche della superficie. Questa, infatti, deve apparire omogenea all’ingresso in un’altra cella, quella di riposo.
La seconda parte di riposo deve durare almeno 90 giorni. È una fase delicatissima che, se mal gestita, può danneggiare irrimediabilmente il prosciutto. Il prosciutto non può uscire se non ha perso complessivamente almeno il 18% del peso iniziale. La maggior difficoltà sta nel riuscire ad asciugare bene il prosciutto, fino al cuore del bicipite femorale, senza incrostare le frazioni muscolari più esterne. È necessario gestire la posizione di tutti i prosciutti all’interno di una cella di riposo, per consentire la maggior uniformità possibile di temperatura e umidità relativa, anche considerando le diverse altezze cui sono appesi.