La puntatura (o spillatura) di un prosciutto è il più antico ed al contempo il più attuale ed efficace metodo di controllo qualità del prodotto finito. Un abile e quotato operatore, con molti anni di esperienza alle spalle, utilizza un ago di stinco di cavallo, esattamente la fibula o perone, appositamente affilato, e lo infila in sei aree ben determinate del prosciutto. Il test prevede il sondaggio sul gambo, ai due lati verticali del femore, all’altezza della corona (che è il punto di confine fra la parte coperta e la parte scoperta dell’interno della coscia) per percepire la consistenza del prosciutto, i suoi pregi aromatici, ma anche l’eventuale presenza di difetti profondi, tali da rendere inutilizzabile il prodotto. Si passa poi alla puntatura dell’arteria e della vena femorali, della testa del femore e dell’area sub iliaca, sotto la cosiddetta anchetta. Lì si possono manifestare i cosiddetti difetti di facciata, quasi sempre non invasivi e facilmente correggibili con un rapido tocco di coltello.
Ma perché, ancora oggi, si usa uno strumento vecchio di secoli e non replicabile dalla moderna ingegneria dei materiali? Per una semplice e banale caratteristica dell’ago di fibula del cavallo. L’osso, infatti, possiede delle nervature tali da conferirgli una “magica” prerogativa. Lo si può utilizzare in sequenza, puntando le varie aree di cui sopra, dalle quali preleva i profumi e gli odori, senza bisogno di resettarlo ad ogni utilizzo successivo. Trasmette cioè al naso dell’operatore un profumo, ma non lo trattiene a lungo, annullandosi al passaggio successivo ed assumendone il nuovo sentore aromatico. I tentativi di replicare con moderni materiali le nervature dell’osso sono andati a vuoto. Trattenevano troppo a lungo il vecchio aroma che andava inevitabilmente a mischiarsi con il nuovo, rendendo impossibile una percezione olfattiva univoca dell’uomo.
Le valutazioni olfattive dell’esperto operatore permettono di scegliere quali e quanti prosciutti andranno presentati all’Ente di Certificazione (IFCQ) per i successivi prelievi da presentare al laboratorio di analisi per gli esami mensili di routine. Almeno dopo il 13° mese, l’Ispettore di IFCQ, per ogni lotto mensile di non più di 1000 pezzi (se superano la quota, raddoppia il campione), apre un prosciutto e ne preleva il bicipite femorale (è la frazione muscolare più interna e significativa), lo spedisce al laboratorio che deve ricavare i valori dell’umidità, del sale, dei grassi e dell’indice di proteolisi. Se l’umidità è troppo elevata, il campionamento viene ripetuto dopo uno o più mesi. Se invece gli altri tre parametri non rimangono all’interno del range stabilito dal Disciplinare di Produzione, l’intero lotto non viene marchiato, cioè non ottiene la qualifica e la denominazione di Prosciutto Veneto DOP. Può essere ugualmente venduto, ma solo con denominazione generica e non certificata e con significativo decremento di valore commerciale. Se, viceversa, i parametri sono regolari, l’Ispettore provvede alla marchiatura a fuoco di ciascun prosciutto. Ma di questo ne parleremo alla prossima puntata.